La Fondazione Carolina di Milano apre un Centro di recupero terapeutico per i giovani con disagio legato all’uso delle nuove tecnologie. E una Campagna di sensibilizzazione per un’estate… senza intrusi

La Fondazione Carolina di Milano apre un Centro di recupero terapeutico per i giovani con disagio legato all’uso delle nuove tecnologie. E una Campagna di sensibilizzazione per un’estate… senza intrusi

Non c’è solo Ginevra, che a 13 anni non esce più dalla sua camera (non ne esce fisicamente da due mesi, non ne esce per andare a scuola, non ne esce per mangiare o per parlare con le amiche preoccupate che vanno a trovarla a casa).
A febbraio scorso, quando Fondazione Carolina ha iniziato a prendere contatto con i reparti di neuropsichiatria degli ospedali lombardi spiegando d’essere prossima all’apertura di un Centro dedicato al recupero terapeutico a fronte dei disagi giovanili legati all’uso delle tecnologie, le richieste di intervento erano già a decine. E così ieri, nel giorno della presentazione della struttura al pubblico, a Milano, sul tavolo dell’équipe di psicoterapeuti ed educatori professionali c’erano già 35 fascicoli: adolescenti in carne ed ossa, di età compresa tra i 12 e i 17 anni, chi dipendente dallo smartphone e dai social, chi vittima o autore di cyberbullismo, chi finito nell’abisso del ritiro sociale, della dispersione scolastica, della depressione, delle sostanze.

La misura dell’emergenza, qui, tra i divanetti informali e i tappeti celesti, ha da sempre a che fare coi numeri d’altronde: da quando è nata – cioè dopo che Carolina Picchio è morta suicida, nel 2013, per essere finita nel mirino di 5 compagni nelle chat tra i suoi coetanei a Novara – la Fondazione voluta dal papà di “Caro”, Paolo, si fa carico ogni anno di 90mila ragazze e ragazzi in tutta Italia con interventi e azioni formative nelle scuole, ma anche negli oratori, nelle sedi delle associazioni sportive e in tutti i luoghi abitati dai più giovani. Negli ultimi due, di anni, il suo servizio denominato “Rescue Team” è intervenuto in 278 casi in tutto il territorio nazionale: tra questi ultimi, molti di quelli finiti alla ribalta delle cronache con al centro reati drammatici di cyberbullismo, violenze, abusi.

 

Un momento di incontro tra gli psicologi, gli educatori e Ivano Zoppi nel nuovo Centro di recupero terapeutico di Fondazione Carolina

Un momento di incontro tra gli psicologi, gli educatori e Ivano Zoppi nel nuovo Centro di recupero terapeutico di Fondazione Carolina – Fondazione Carolina

Niente di strano, considerando la realtà: e cioè che i nostri ragazzi ogni 12 mesi ne trascorrono 2 sul web, che 4 su 10 ricevono il loro primo smartphone (con cui sul web navigano più o meno liberamente) prima dei 10 anni di età, che il 100% dei 13enni ne ha uno in uso esclusivo. E che nel frattempo la metà dei genitori (sì, il 50% esatto) afferma di sapere poco o nulla sul significato di sexting, vamping o grooming. Cioè delle parole inglesi che descrivono i pericoli concreti enormi in cui i loro figli incappano online in due casi su tre: scambio di messaggi sessualmente espliciti, notti trascorse attaccate allo schermo, adescamento. Strano sarebbe, anzi, se non si ammalassero. Cosa che fanno, drammaticamente. «Ed eccoci qui allora – spiega il direttore generale di Fondazione Carolina, Ivano Zoppi –, chiamati a rispondere alla loro richiesta d’aiuto e a quella delle famiglie, chiamati a pensare a una cura». Al Centro Re.Te. di viale Sondrio 7 quest’ultima è articolata in un percorso strutturato di accoglienza dei ragazzi che va dalle ore di supporto psicologico all’attività educativa di gruppo fino a quella sul territorio, di “restituzione sociale”, dallo sport al teatro fino all’ippoterapia. «Quello che li accomuna tutti è che la dipendenza da tecnologia o l’uso distorto di essa sono sintomi, non cause: significa – e Zoppi sa di entrare in un campo minato, in tempi di appelli e persino di proposte di legge sui divieti di smartphone e di social agli adolescenti – che togliere loro la possibilità di collegarsi non risolve affatto il problema. Non è certo imporgli stare senza telefonino o connessione in un mondo in cui tutti del telefonino e della connessione fanno uso che li avremo educati». La sfida, sembra una frase fatta, è piuttosto e più che mai l’ascolto e l’educazione dei ragazzi allora, dove la figura di riferimento dell’adulto diventa imprescindibile e dove l’adulto però deve fare la sua parte, rendendosi presente, mettendosi in discussione: «Il Centro Re.Te. da questo punto di vista diventa un punto di riferimento anche per loro, per i grandi, perché capiscano una volta per tutte da dove nasce il disagio dei propri figli e perché se ne assumano la responsabilità insieme alle altre agenzie educative, la scuola in primis, così spesso caricata del peso insostenibile di capirli, correggerli, quando non c’è altra strada punirli».

Una delle immagini della campagna di sensibilizzazione di Fondazione Carolina con l'agenzia Mynd

Una delle immagini della campagna di sensibilizzazione di Fondazione Carolina con l’agenzia Mynd – Fondazione Carolina

Il Centro, che è già operativo e i cui servizi sono completamente gratuiti, non nasce da solo. In queste ore Fondazione Carolina lancia anche la sua nuova campagna di sensibilizzazione per l’estate chiamata “The unseen risk” (il rischio invisibile) e pensata insieme all’agenzia grafica specializzata Mynd proprio per rimettere sul tavolo la questione mai risolta dell’uso consapevole delle tecnologie, a cominciare dai genitori. Al cuore dell’iniziativa, un decalogo di consigli per affrontare i mesi estivi al riparo dall’iperconnessione che li caratterizza: “far andare in vacanza” anche il telefono, “comprare una vocale” chiacchierando di persona con gli amici che si incontrano (e abolendo i vocali ormai così diffusi), non “giocarsi l’estate” davanti ai videogames e alla Playstation, non “mettere l’arte da parte” riducendo tutte le visite a selfie e foto da condividere nelle chat, “abbassare i toni” delle suonerie e dei messaggi per godersi la natura e la spiaggia. Basterebbe seguire due o tre dei consigli, per iniziare a guarire: provare per credere.

Viviana Daloisomartedì 3 giugno 2025
Fonte: www.avvenire.it

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