Una nuova ricerca nel Lazio evidenzia mancanza di formazione e la necessità di un supporto adeguato. Storie di un diritto negato, affidato solo al “Welfare familiare“.
Il contributo affronta il tema del diritto alla sessualità delle persone con disabilità che, variamente approfondito nell’ambito delle scienze psico-sociali, ha ricevuto attenzione più limitata da parte della letteratura giuridica. Si propone un quadro ricostruttivo delle fonti sovranazionali e della situazione legislativa italiana, che attende di essere rivisitata in maniera organica alla luce della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità del 2006.
Il diritto alla sessualità, latamente inteso, chiede di essere garantito al pari di tutti i diritti fondamentali delle persone con disabilità, nel contesto di una prospettiva di inclusione e valorizzazione dell’autodeterminazione.
Sensualità, erotismo, sessualità, in una parola tutto quanto gravita nella sfera dell’intimità delle persone disabili, sono avvolte da reticenze, silenzi e ipocrisie in ragione di stereotipi che tendono a “Disincarnare” aspetti fondamentali della vita umana. Tuttavia, vari fattori fanno ritenere che lentamente negli anni più recenti, anche in Italia, vada crescendo l’attenzione al tema del rapporto che le persone con disabilità hanno con il Corpo sessuato e si stia modificando un paradigma culturale, ormai vecchio, con cui guardiamo alla disabilità.
Un impegno significativo in questo senso è profuso direttamente dalle stesse persone disabili e dalle associazioni che si occupano di disabilità. Ad esempio, il loro impegno è stato significativo già nel recente passato, avendo contribuito all’approvazione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ispirando e sostenendo politicamente i contenuti in nome dello slogan “Nothing about us, without us” Tuttavia, il loro impegno non è stato sufficiente a determinare che la Convenzione recasse un significativo avanzamento relativamente alla promozione del diritto alla sessualità delle persone disabili. In tal senso, sono rimaste insuperate le Regole Standard per l’uguaglianza di opportunità delle persone con disabilità, adottate dall’ONU nel 1993, con le quali il diritto alla sessualità, in tutte le sue espressioni e manifestazioni, era stato inserito tra quelli che gli Stati sono chiamati a promuovere.
Oggi in Italia svariate associazioni che si occupano di disabilità svolgono attività informative, formative e pubblicistiche in materia di educazione sessuale; i mass media e il cinema non ignorano il tema; a livello di ricerca empirica nel 2015 si è conclusa quella che è stata presentata come la prima indagine scientifica italiana in materia di vita sessuale e affettività delle persone con grave cerebrolesione acquisita (GCA); a livello istituzionale nel 2013 il Comune di Torino risulta aver avviato il Servizio Disabilità e Sessualità dedicato alle persone con disabilità fisico-motoria. Quelli citati sono solo alcuni esempi, ma a livello istituzionale, culturale e sociale queste e altre esperienze non sono diffuse e assimilate quanto richiederebbe la necessità di garantire il diritto alla sessualità, come espressamente richiesto dal sistema di fonti multilivello che regola la materia dei diritti delle persone con disabilità. Essendo la sessualità “Uno degli essenziali modi di espressione della persona umana” anche per le persone disabili.
Scopo di questo contributo è quello di tentare una succinta ricostruzione del quadro giuridico relativo al diritto alla sessualità delle persone disabili, nell’ambito del più generale nuovo “Paradigma” della disabilità in cui la tutela dei diritti fondamentali delle persone è centrale.
Il nuovo “Paradigma” giuridico e sociale della disabilità è frutto di un lungo percorso di rivendicazione dei diritti che ha condotto a considerare la disabilità come una condizione complessa nella quale i fattori sociali sono di assoluto rilievo. Questi, come ad esempio i comportamenti dei consociati e le scelte dei decisori pubblici, sono considerati rilevanti, in negativo, nel far sì che una disabilità possa diventare effettivo ostacolo alla realizzazione personale del soggetto, oppure, in positivo, nel rimuovere gli ostacoli che limitano la realizzazione dei diritti delle persone disabili all’autodeterminazione e alla vita indipendente e “Inclusa” nella società, princìpi – questi ultimi – che sono promossi dalla Convenzione ONU.
Fonte: Questionegiustizia.it
Photo: Stateofmind.it